/////Rec-records presenta ACBESS: Biatch – IL VIDEO!!!

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Di ottima c’hai solo l’immaginazione.

Ahahah! Ahahaahahah! Certo! Facile portare a galla i ricordi belli, ma non ti rendi forse conto che attaccati, ce ne sono di terribili. Terribilissimi. E ora te li vado a raccontare…

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Per le ottime capacità di scrittura che nemmeno Saramago.


Oggi ho deciso di ricordare, perché mi sono accorta quanto in fretta dimentichiamo.
L’uomo ha una memoria selettiva, ricorda ciò che vuole ricordare e dimentica tutto il resto. Lo facciamo tutti, nessuno escluso. Scommetto che pure il più giocondo e positivo degli esseri umani ha dimenticato episodi  ed emozioni felici del suo passato, ma ricorda con dovizia di particolari quella volta in cui litigò con un amico, si fece male, o semplicemente fece una brutta figura cadendo per la strada.
Con estrema disinvoltura ricacciamo i ricordi più belli sul fondo, e lasciamo galleggiare quelli spiacevoli. Così, al momento di infilare la mano per tirarne su qualcuno, questi ultimi sono sempre quelli che vengono fuori. Ancora gocciolanti, sempre freschi, come pescati di recente. Lo facciamo tutti.
Mi capita spesso di provare un bellissima emozione  al cospetto di un evento piccolissimo. La vista di un fiore colorato, le onde ipnotiche del mare, l’aria fresca che entra dal finestrino dell’automobile e ti si infila in ogni fessura degli abiti, la sensazione del pane caldo al tatto, quando la busta di carta è ancora tiepida e l’odore di grano, sale e lievito ti riporta a memorie ancestrali. Ogni volta mi dico che quella è una sensazione così piacevole e rasserenante che non potrò cacciarla via così facilmente, che la porterò con me ogni giorno per mettere nelle mie giornate sempre un pizzico di bellezza.
E invece… Continue reading

Il bello deve ancora arrivare

foto di peppe de caro

E’ partita la corsa ai ripari. Mi appoggio al muro della soddisfazione e mi godo una scena ridicola, cruda e reale che sarebbe tanto piaciuta a Fellini: una bella fetta di popolazione che fugge a gambe levate dalla “casa della libertà”. Più che una casa era ormai diventata un grattacielo, che aggiungeva piani su piani ad una velocità stratosferica, e brillava al sole del successo con incontenibile alterigia.

Ma, lo sanno tutti, un grattacielo non può crescere troppo in altezza, che poi si fa instabile, oscilla, si spezza. Soprattutto se costruito su montagne, scusate la finezza, di merda (Peppino Impastato docet. E la citazione è solo per chi la sa cogliere).

E quando un grattacielo sta per crollare, di solito succede che gli inquilini fuggono in tutte le direzioni: c’è chi si lancia dalla finestra, chi corre giù per le scale, chi rimane abbarbicato alle colonne portanti come un koala all’albero, col rischio di ritrovarsi poi nella suddetta merda. E di restarci.

C’è chi fugge ad Hammamet.

Ieri, con il referendum, il grattacielo della libertà si è definitivamente sgretolato, sollevando un polverone tossico di recriminazioni, ipocrisie, brutalità televisive somministrateci dalla tv pubblica e privata.

Gli inquilini del grattacielo, quelli che sono riusciti a mettersi in salvo, mi piace ora pensarli stipati in un posto che immagino come uno di quei vecchi fortini da far west: fradicio, logoro, con spifferi da tutte le parti, un po’ unto, stretto:

“Fatti più in là” – “Cazzo, spostati!” – “Ahia! Mi hai pestato un piede.”

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Autodefinizione

Ieri è stata una giornatona per la democrazia italiana, credevo sarei andato in giro a fare caroselli, ma in verità dopo dieci minuti di gioia, ero già tornato a concentrarmi su cose più importanti. Ho deciso che per capirsi, uno dev’essere un grado di autodefinirsi, ma nel contempo, già che io con le descrizioni delle persone mi sono sempre ritenuto una mezza pippa, mi sono reso conto che non ne sarei in grado.

Ricordo che una volta avevo descritto i personaggi di un libro solo partendo dalle loro relazioni con gli altri, approccio che mi era parso banale, ma aveva emozionato la mia docente di inglese dell’epoca, una specie di Miss Marple cocainomane che mi aveva dato dei voti fuori di testa. Solo che se adesso mi metto a descrivere le relazioni con le persone che mi circondano, finisce che qualcuno si incazza perché non l’ho messo, qualcun altro perché ne ho scritto cose brutte e qualcun altro ancora, solo per il fatto di essere stato nominato. Allora mi passa la voglia e come sempre smetto di scrivere nel blog.

Poi mi ricordo di aver notato che, vuoi per un peggioramento della mia prostata, vuoi per una maggior vita fuori casa, ultimamente faccio un sacco di considerazioni sugli svariati cessi dove mi ritrovo a orinare. Magari anche partendo da loro, mi si può definire.
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Volevo Ringraziare

15 Gennaio 1989

I capelli bianchi, le rughe, una giacca da camera scolorita. Sul comodino un bicchiere colmo d’acqua, per la dentiera. Un paio di occhiali con lenti bifocali, le confezioni di medicine. C’è tutto quello che fa di un uomo un “anziano”.
E poi c’è un foglio bianco, una penna, una mano tremolante. Adesso c’è anche un testamento. Incompleto, ma c’è.
<< Cosa fai adesso? Scrivi? >>
<< Sì, mi tocca.. >>
<< E che cosa…ma…Oh Signore, ma che stai scrivendo?..“E ringrazio anche la cassiera del supermercato che..”…! >>
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Quattro pareti

– “Se ti chiedessero di scegliere tra l’immortalità e la libertà, tu cosa faresti?”

– “Facile. L’immortalità.”

– “Uhm.”

– “E Tu?”

– “La libertà, ovvio.
Ti parlo da dietro questa grata, posso vederti ma non toccarti, la mia pena non è ancora scontata, e sono solo.
Non dovresti nemmeno chiedermelo.”

– “E’ dura lo so. Ti capisco.”

– “No, tu non puoi capire. Non ci provare neanche.”

– “Non dire così..”

– “Non posso muovermi. Non posso correre. Non posso saltare. Non posso scappare. Non posso scegliere.
L’unica scelta che posso fare quotidianamente è quella di decidere su quale delle quattro pareti che mi circondano andrò a sbattere la testa.”

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Un Viaggiatore

Diario di viaggio – 27/08/1973

Sono molto stanco.
La valigia è qui accanto a me, il cappello penzola pigramente dalla spalliera della mia sedia, e la penna è ormai consumata.
Anche le suole delle mie scarpe, adesso che le osservo per bene, sono consumate. Credo che per il prossimo viaggio ne comprerò un nuovo paio, magari più resistenti, magari impermeabili all’acqua vischiosa delle paludi salate delle isole sudamericane, magari che non si lascino penetrare dalla sabbia, fine come farina, del deserto africano.

Ricordo di quella volta in cui mi tuffai nelle acque gelate del fiume che costeggia una piccola cittadina americana perduta nella prateria. Quando feci per rivestirmi, una delle mie scarpe dondolava lenta dalle mandibole di uno strano animale a metà tra un cane e una marmotta. Corsi così tanto nel tentativo di acciuffarlo, con un piede scalzo e uno no, che alla fine crollai stremato al suolo, mentre il cane-marmotta veniva a depositare il bottino puzzolente accanto al mio corpo esanime.
Devo averlo intenerito parecchio. Continue reading

Minimalia

” Non ci sono cancelli

nella mia mente.

Solo ponti

da attraversare scalzi.”

 

 

” Perchè dal ponte

osservi sempre l’acqua

e mai il cielo?”

 

 

” Sulla curva schiena

di un ponte di pietra scura

mi sono seduta e ho chiuso gli occhi.

Per sentire cosa si prova

ad unire due sponde

senza essere mai ringraziato.”

Non vi sento

” Lalalala! Lallallallalala! Lalalaaa! Non vi sento! Lallallalalala!
Potete parlare quanto vi pare ma io non sento nieeeeente! Lallallalala!
Si, si, si, no, no, no, si, certo, continuate pure a parlare tutti insieme tanto io non vi ascolto! Lalalalaaaa!”

Si copre le orecchie con le manine e tira fuori la lingua. Poi continua a urlare:

” Laaaaaaaaa! ma come fate a parlare tutti insieme e sempre con me poi? Laaaaaaaaaallallala!
Sempre a chiedere, sempre a chiamarmi di qua e di la, ma tanto io non vi seeeeento! Lallallero!”

Scosta per un attimo le manine paffute dalle orecchie. Si zittisce e subito continua:

“LAAAAAAAAAA! Lo vedete? Appena sto zitto voi ripartite a parlare tutti insieme…e per favore di qua, e caro il mio bambino di la!
Io non vi seeeeento! Lallalalallalallalaaaaa!”

Forse vi converebbe invocare più spesso Dio, San Giuseppe o il vostro santo preferito, nelle vostre preghiere.

Ché Gesù Bambino spesso sa essere molto, molto dispettoso.